La Legge “Cirinnà” (dal nome della relatrice a Palazzo Madama, la Senatrice democratica, Monica Cirillà), è legge dello Stato.
La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, fa scattare il conto alla rovescia per l’entrata in vigore, a far data dal 5 giugno 2016.
Con la legge n.76/2016, l’Italia si colloca nel perimetro degli ordinamenti che nel mondo prevedono una regolamentazione dei legami stabili eterosessuali e omosessuali, adottando però un sistema in verità quasi unico, costituito dalla compresenza nel diritto di famiglia di tre forme che organizzano dal punto di vista giuridico la vita familiare
a) il matrimonio (cui si accede con la celebrazione);
b) l’unione civile tra persone dello stesso sesso (cui si accede con la registrazione);
c) la convivenza di fatto (per cui è prevista, ma non quale registrazione obbligatoria sebbene ai fini probatori, la sola iscrizione anagrafica).
Con la nuova legge l’iscrizione anagrafica delle convivenze (che non è una registrazione di stato civile) assolve soltanto a funzioni di attestazione e di prova dell’inizio e della durata della convivenza.
Questo automatismo della tutela nelle famiglie di fatto definisce un sistema normativo che non prevede l’accesso volontario e formale alla condizione di “convivenza di fatto”, ma che prevede, al contrario, diritti (e un dovere alimentare alla cessazione della convivenza) che nella famiglia fondata sul matrimonio o sull’unione civile sono assicurati – insieme ad altri diritti e numerosi doveri – dalla scelta di sposarsi o di registrare l’unione e che, invece, qui sono previsti per il mero fatto di convivere stabilmente.
La famiglia di fatto continua a essere caratterizzata dall’esistenza di legami affettivi di coppia e di doveri sociali (non giuridici) di reciproca assistenza morale e materiale, con la conseguenza che a quei legami e all’affidamento reciproco che essi inducono in ciascuno dei conviventi, corrisponderà una tutela giuridica, che le parti lo vogliano o no. Se due persone decidono di metter su famiglia assumono reciprocamente doveri sociali di solidarietà (articolo 2 della Costituzione) che non possono non avere come necessaria conseguenza la tutela giuridica delle situazioni che ne scaturiscono.
Sul versante della tutela dei figli questi principi già da decenni hanno trasformato la responsabilità genitoriale in un concetto che non tollera alcuna limitazione per il fatto di estrinsecarsi in una famiglia fondata sul matrimonio anziché in una famiglia di fatto.
La nuova legge si compone di un unico articolo in cui sono dislocate le disposizioni sulle unioni civili (commi 1-35) e sulle convivenze di fatto (commi 36-65) nonché norme finali di copertura finanziaria.
La prima parte (articolo 1, commi 1-35) è dedicata alle unioni civili tra persone dello stesso sesso che sono disciplinate in modo pressoché simmetrico a quanto previsto nell’ordinamento vigente per le coppie coniugate, ma con una attenzione particolare – nel rispetto della tradizione giuridica del nostro Paese e delle convinzioni religiose di buona parte della popolazione – rivolta a evitare la mera sovrapposizione dell’unione civile al matrimonio.
La scelta del legislatore è stata quella, quindi, di non prevedere direttamente, come avviene in quasi tutti i principali Paesi occidentali, la possibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso, così evitando di sollevare prevedibili obiezioni di costituzionalità del nostro sistema (articolo 29 della Costituzione), ma al tempo stesso dando una risposta alle esortazioni della stessa Corte costituzionale per garantire alle coppie dello stesso sesso dignità giuridica non deteriore rispetto a quella che l’ordinamento garantisce ai coniugi.
Proprio per evitare questa assimilazione formale al matrimonio, il regime primario dell’unione civile non viene definito con riferimento alle norme che indicano il regime primario del matrimonio (sostanzialmente gli articoli 143 e 144 del Cc) ma attraverso l’indicazione di diritti e doveri (esclusa incomprensibilmente la fedeltà reciproca) che i partners assumono allorché costituiscono l’unione civile.
La legge esclude espressamente l’applicazione alle unioni civili di tutta la normativa vigente in tema di adozione di minori. Perciò sembra compromessa, a seguito dell’approvazione della legge, anche la possibilità dell’adozione del figlio minore del proprio partner ammessa oggi dalla giurisprudenza dei tribunali per i minorenni in applicazione dell’articolo 44 lettera d) della legge 4 maggio 1983 n. 184.
Sono garantiti naturalmente i diritti successori e alla pensione di reversibilità.
La nuova legge introduce per le unioni civili il “divorzio immediato” – cioè non preceduto dalla separazione – a cui i partners potranno accedere in via giudiziaria o con la negoziazione assistita almeno tre mesi dopo aver manifestato l’intenzione di sciogliere il loro vincolo all’ufficiale di stato civile.
La seconda parte della nuova legge (articolo 1, commi 36-65) è dedicata alla disciplina giuridica della convivenza di fatto tra persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Lo statuto giuridico è oggi allargato dalla nuova legge; non definito per la prima volta. I diritti nell’ambito della convivenza di fatto vengono ampliati rispetto alle garanzie già riconosciute oggi dalle leggi e dalla giurisprudenza.
Sono, “conviventi di fatto”, secondo la nuova legge, due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Ai conviventi di cui almeno uno sia “separato” non saranno applicate, quindi, le disposizioni della nuova legge.
La convivenza di fatto “stabile”, che risponde ai requisiti indicati, determina ipso iure, l’applicazione dello statuto giuridico previsto dalla nuova legge anche alle convivenze di fatto in corso al momento dell’entrata in vigore della legge, trattandosi di una normativa di carattere sostanziale.
I conviventi di fatto mantengono l’ampia autonomia di regolamentare con accordi tra di loro aspetti della loro vita personale e dei loro rapporti patrimoniali. Regolamentazione che potrà essere esercitata nel rispetto dei limiti inderogabili fissati dalla nuova legge, e quindi non in peius, e di quelli generali di liceità e di non contrasto con l’ordine pubblico.
In questa prospettiva resta fondamentale la differenza tra “contratti di convivenza” – che sono quelli con efficacia nei confronti dei terzi cui fa riferimento la nuova legge – e “contratti tra conviventi” con efficacia limitata ai rapporti tra le parti (anche con riguardo ai rapporti successivi alla cessazione della convivenza) che appartengono da tempo alla prassi di regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali nella convivenza di fatto.
Il comma 53 indica il contenuto limitato del contratto di convivenza che deve essere stipulato a pena di nullità in forma scritta «con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico». Una funzione ulteriore che il legislatore affida quindi anche all’avvocato, chiamato sempre più a funzioni di grande impegno che presuppongono anche nuovi e più adeguati livelli di formazione.
Delle ipotesi di risoluzione del contratto di convivenza previste nel comma 59 (accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile anche di uno dei due partners, morte di uno dei contraenti) il recesso unilaterale solleva numerose perplessità, soprattutto se connesso a contratti in cui i conviventi hanno adottato il regime della comunione.
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