Corte di cassazione – Sezioni unite civili – Sentenza 1° giugno 2016 n. 11374
Il contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dalle Poste italiane e i casi in cui questo si possa trasformare a tempo indeterminato. Questo argomento nel recente passato ha generato una mole di contenzioso notevole che spesso ha finito per ingolfare il lavoro della Suprema Corte. Alla luce di queste riflessioni va vista con estremo interesse la pronuncia delle Sezioni unite n. 11374/2016 che ha fornito una serie di chiarimenti da cui non si può più prescindere.
I cardini fissati dalla Cassazione – La decisione, infatti, ha fissato dei criteri che necessariamente dovranno essere considerati punti di riferimento a cui i giudici di merito dovranno attenersi senza che la questione debba finire sul tavolo di legittimità. I giudici – con la decisione – hanno ripercorso l’iter normativo sul contratto a tempo determinato dalla sua enunciazione primaria ex articolo 1 della legge 230/1962, fino ad arrivare ad analizzare il Dlgs 368/2001 e le successive modifiche. E proprio sulla base di quest’ultima legge la sentenza ha espresso il principio di diritto in base al quale le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentano i requisiti specificati dal comma 1-bis dell’articolo 2 del Dlgs, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo organizzativo o sostitutivo ex articolo 1 del Dlgs appena richiamato. E già questa va considerata una grande novità visto che in passato il contratto a tempo determinato era una forma di negozio assolutamente atipica che doveva trovare una sua fonte autorizzativa. La legge ha, quindi, previsto la figura di lavoro a tempo determinato accanto a quella a tempo indeterminato. Ora, seguendo sempre l’evoluzione normativa, la Corte ha precisato che l’articolo 5, comma 4-bis del Dlgs 368/2001 introdotto dalla legge 247/2007 stabilisce che qualora per effetto di una successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore superi il periodo di 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che sono intercorsi tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si deve considerare a tempo indeterminato. Questo appena richiamato segna, dunque, il secondo importante chiarimento.
Il tema più “spinoso” – Ma i Supremi giudici si sono spinti oltre e hanno voluto affrontare la questione forse più spinosa. Quella cioè legata alla successione nel tempo di più contratti a tempo determinato. E allora se il contratto successivo viene stipulato senza soluzione di continuità con il primo (o comunque con un contratto precedente) il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla data di stipula del primo contratto. Se poi il primo contratto ha durata inferiore a 6 mesi e il lavoratore viene riassunto entro dieci giorni dalla scadenza del primo, il contratto si considera a tempo indeterminato (ex articolo 5, comma 3, del Dlgs 368/2001). Altra ipotesi poi se il primo contratto ha durata superiore a sei mesi e il lavoratore viene riassunto entro venti giorni dalla data di scadenza. Anche in questo caso il contratto si considera a tempo indeterminato.
Il periodo di 36 mesi sigla il contratto a tempo indeterminato – Nell’ipotesi poi in cui due o più contratti a termine in successione tra loro, con intervalli tra l’uno e l’altro, superiori a quelli indicati nelle ipotesi esaminate in precedenza, la normativa italiana prevede una delle misure previste dalla clausola n. 5 dell’accordo europeo, e cioè il limite massimo di 36 mesi da calcolare indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro. Quindi quel limite temporale opera quale che sia la durata dell’intervallo, anche se i contratti sono distanti molti mesi tra loro il contratto si considera sempre a tempo indeterminato. Chiarimenti questi di notevole interesse che serviranno sicuramente a creare quel discrimen perché un contratto possa considerarsi a tempo determinato senza alcuna evoluzione e invece quando, in presenza di precise circostanze, possa trasformarsi a tempo indeterminato.
Il suddetto orientamento, può chiaramente applicarsi a tutte le fattispecie di lavoro subordinato.
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