Illegittimo il licenziamento del dipendente al quale alla fine del periodo di prova venga concesso un altro periodo di “osservazione” per comprendere al meglio il lavoro da svolgere. Si tratterebbe di un doppio periodo di prova non consentito dalla legge. Questo il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 16214/2016.
Vicenda. La Corte si è trovata alle prese con una lavoratrice che, non avendo superato la prosecuzione del periodo di prova, era stata licenziata. Più nel dettaglio il datore aveva eccepito che per consentire un migliore approccio della lavoratrice alle problematiche relative all’area finanziaria della quale avrebbe dovuto occuparsi, la società aveva convenuto la proroga di due mesi dell’iniziale periodo di prova. La lavoratrice, in risposta a una mail aziendale con la quale veniva evidenziata la necessità di predisporre la lettera per la proroga, si offriva di farlo essa stessa e nel maggio 2013 la inviava per posta elettronica. Il documento veniva sottoscritto in duplice originale dal legale rappresentante della società e consegnato alla signora perché lo firmasse e lo conservasse. Il rapporto di lavoro così proseguiva e avendo avuto esito negativo l’esperimento, la società provvedeva a comunicare il recesso e veniva contestualmente ad apprendere che la lavoratrice non aveva sottoscritto la proroga e si era così artatamente procurato il consenso della società al solo fine di indurla a non comunicare da subito il mancato superamento del periodo di prova, nell’ingenerata apparenza di un’ulteriore prosecuzione della stessa. La Cassazione si è espressa sulla vicenda dando ragione al dipendente. Questo perché, si legge nella sentenza, la stabilizzazione del rapporto a tempo indeterminato non è derivata dalla mancata sottoscrizione della proroga del patto di prova, ma dalla stipula iniziale del contratto di lavoro e dal mancato esercizio del tempestivo recesso della società alla scadenza del primo periodo di prova ritualmente convenuto.
Il precedente. Ricorda la Cassazione che già in un precedente (sentenza n. 5404/13) era stata confermata una pronuncia di merito che aveva dichiarato la nullità del patto di prova per mancata specificazione delle mansioni che avrebbe dovuto svolgere il lavoratore con conseguente conversione in via definitiva dell’assunzione sin dal suo inizio. Da ciò era derivato che il licenziamento basato esclusivamente sul mancato periodo di prova, era stato correttamente ritenuto dal giudice di merito illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo. Del pari nel caso concreto nel periodo di prova bis non era emerso con chiarezza quali fossero i compiti che la dipendente dovesse apprendere meglio o cosa dovesse fare per poter continuare il rapporto di lavoro. Di qui l’illegittimità del licenziamento e la bocciatura del ricorso del datore di lavoro.
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