Nel caso di licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, una volta accertata la nullità di tale clausola – perché il lavoratore era stato già testato a sufficienza con diversi contratti a termine -, la tutela reale od obbligatoria dipende dalle dimensioni dell’azienda, che spetta al datore provare. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 12 settembre 2016 n. 17921, accogliendo, sotto questo aspetto, il ricorso proposto da un centro di formazione professionale.
Il caso – In secondo grado, la Corte di appello di Messina dopo aver «annullato la risoluzione del rapporto e l’atto di recesso» – in quanto il patto di prova era «privo di causa» visti i due anni di collaborazione a progetto svolti sulle medesime materie – aveva condannato l’ente alla «riammissione in servizio e alla corresponsione delle retribuzioni dalla cessazione del rapporto fino alla effettiva reintegrazione». Per il Centro di formazione invece, per un verso, le attività erano almeno parzialmente differenti; per l’altro, anche se il patto di prova risulta nullo, «il licenziamento resta assoggettato alla disciplina sua propria e, quindi, la illegittimità comporta, in caso di insussistenza del requisito dimensionale, le conseguenze previste dall’art. 8 della legge n. 604/1966».
La motivazione – Per i giudici di Piazza Cavour, vista la precedente lunga collaborazione, la verifica doveva ritenersi già avvenuta «con esito positivo» per entrambe le parti, senza dunque che rilevino «la natura e la qualificazione dei contratti stipulati in successione (n.15960/2005) o «la diversa denominazione delle mansioni» (n. 17371/2015). Nè in sede di legittimità può essere censurato l’accertamento di eguaglianza effettiva delle mansioni (n. 17371/2015).
È invece fondato il secondo motivo. Infatti, «il licenziamento intimato sull’erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità, riferendosi ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, non è sottratto alla applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, per cui la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro sarà quella prevista dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, qualora il datore di lavoro non alleghi e dimostri la insussistenza del requisito dimensionale, o quella riconosciuta dalla legge n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per la applicabilità della tutela reale».
La Corte territoriale ha quindi errato nel ritenere che «la nullità del patto di prova vanificasse gli effetti del recesso determinando, per ciò solo, la ricostituzione del rapporto, dovendo, al contrario, trovare applicazione la disciplina ordinaria sui licenziamenti e, quindi, in presenza dei requisiti rispettivamente richiesti, la tutela assicurata dalla legge n. 604/1966 o dall’articolo 18».
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