Corte di cassazione -Sezione III penale – Sentenza 13 febbraio 2017 n. 6595
Il marito che evade le imposte rischia di far confiscare i gioielli della moglie. Questo in sintesi il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 6595/2017. La Corte si è trovata alle prese con un appello della procura contro la sentenza del Tribunale del riesame che, in riferimento al mancato adempimento tributario del marito, aveva ritenuto illegittima la misura cautelare reale che andava a colpire i gioielli appartenenti alla moglie. I giudici di appello hanno ricordato, infatti, come non fosse stato disposto un sequestro preventivo emesso direttamente nei confronti della donna, titolare di redditi propri. Nella decisione di secondo grado era stato ricordato peraltro come mancasse la prova che i beni fossero nella disponibilità del marito.
L’appello della procura. La procura nell’appello evidenzia, invece, come nella consuetudine ci siano beni come ad esempio orologi o automobili che possono essere utilizzati da entrambi i coniugi. E la Cassazione ha accolto l’appello della procura sulla base di quanto disposto dall’articolo 12-bis del Dlgs 74/2000 in base a cui deve essere sempre ordinata la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato. Per bene disponibile va inteso quello di cui si possa vantare il possesso. L’uso è un dato esteriore che dimostra la disponibilità del bene da parte del coniuge, ma non esclude quella dell’altro, legittimando semmai la confisca al 50 per cento del valore del bene stesso. L’uso esclude la disponibilità dell’altro coniuge solo quando ha ad oggetto un bene strettamente personale che, per questa ragione, è sottratto alla comunione legale ex articolo 179, comma 1, del codice civile. Nella decisione – si legge – che la comunione legale dei beni non ostacola di per sé alla confisca pro quota del bene che ne costituisce oggetto. Ciò sul rilievo che tale regime patrimoniale, per esempio non esclude la disponibilità dell’immobile da parte dell’autore del reato e non lo sottrae all’azione esecutiva dei creditori particolari del coniuge salvo in tal caso l’assegnazione favore dell’altro della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo. Va ricordato che in caso di comunione legale dei beni gli acquisti effettuati dopo il matrimonio sono di proprietà anche dell’altro coniuge, ameno che non si tratti di beni strettamente personale del tutto sottratti, in quanto tali alla disponibilità dell’altro.
Conclusioni della Corte. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma che nel riesaminare l’appello dovrà verificare quel che sia il regime patrimoniale dei coniugi e in caso di comunione legale dei beni, escludere dal sequestro solo i beni di natura strettamente personale della moglie. In caso contrario i giudici dovranno verificare se il reddito della donna fosse tale da giustificare l’acquisto dei beni sequestrati e ove ciò non fosse possibile, onerare quest’ultima della prova della sua disponibilità esclusiva di tali beni.
Alcune riflessioni. Ora la decisione lascia qualche perplessità sul campo. Questo perché se si volesse dare una lettura rigorosa all’articolo 179 del codice civile in particolare del comma 1, lettera c) che fa riferimento ai beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge e i loro accessori, alcuni beni come bracciali, orecchini, collane o monili destinate a un pubblico esclusivamente (o prevalentemente) femminile è difficile credere che possano appartenere (quanto all’uso) anche all’altro coniuge e quindi legittimare la confisca per il 50 per cento del bene. Anche perché se così fosse i beni andrebbero necessariamente venduti con possibili e negative ripercussioni economiche per il proprietario. E per la moglie in buona fede sarebbe una doppia beffa. Infatti si vedrebbe espropriata dei propri beni e ripagata con il 50% del valore realizzato dalla vendita giudiziaria. Diverso il discorso e comunque non completamente immune da osservazioni quando la controparte deve dimostrare che possieda un reddito tale da potersi permettere certi gioielli che appartengano al godimento proprio ed esclusivo. Si pensi alla circostanza che certi gioielli possano essere frutto di un’eredità, di un regalo di terzi e comunque la circostanza che solo perchè rientrano nella comunione legale possano essere aggrediti. Il tutto delinea un’ipotesi piuttosto singolare visto che come previsto dalla norma la misura cautelare deve colpire comunque quei beni che abbiano un’attinenza con il reato tributario. E di qui il vincolo di inerenza se non impossibile, risulta molto difficile da dimostrare.