Congedo parentale: indennità di licenziamento calcolata sul tempo pieno

Il calcolo delle indennità di licenziamento e di riqualificazione di un dipendente in congedo parentale a tempo parziale deve essere effettuato sulla base della retribuzione a tempo pieno. Lo ha stabilito la Corte Ue, interpellata dalla Cassazione francese, con la sentenza 8 maggio 2019 nella Causa C-486/18, aggiungendo che una normativa nazionale di segno opposto comporta una discriminazione indiretta in ragione del sesso.

La ricorrente era stata assunta nel 1999, come assistente commerciale, nel contesto di un contratto di lavoro a tempo determinato e in regime di tempo pieno, poi trasformato dal 1º agosto 2000, in un contratto a tempo indeterminato. La lavoratrice aveva fruito di un primo congedo di maternità, seguito da un congedo parentale per l’educazione dei figli di due anni. Successivamente, ha fruito di un secondo congedo di maternità, seguito da un congedo parentale per l’educazione dei figli, in forma di riduzione pari a un quinto del suo orario di lavoro. Quest’ultimo congedo doveva terminare il 29 gennaio 2011. Il 6 dicembre 2010, però, la dipendente è stata licenziata nel contesto di una procedura di licenziamento collettivo per motivi economici ed ha accettato un congedo di riqualificazione di una durata di nove mesi. Dopo aver rinunciato alla riduzione dell’orario di lavoro a decorrere dal 1° gennaio 2011, ha definitivamente lasciato l’azienda il 7 settembre 2011. Secondo la lavoratrice le modalità di calcolo dell’indennità di licenziamento e dell’indennità per congedo di riqualificazione che le sono state versate nel contesto del suo licenziamento per motivi economici, intervenuto durante il suo congedo parentale a tempo parziale, non sono corrette.

Investita della controversia, la Cour de cassation francese ha deciso di rinviare talune questioni alla Corte di giustizia. Nella sentenza odierna, la Corte Ue afferma che, quando un lavoratore assunto a tempo indeterminato e in regime di tempo pieno è licenziato durante un periodo in cui fruisce di un congedo parentale a tempo parziale, la sua indennità di licenziamento deve essere determinata unicamente sulla base della retribuzione relativa alle prestazioni di lavoro svolte a tempo pieno dal lavoratore medesimo.
Infatti, una normativa nazionale che si risolvesse in una riduzione dei diritti che discendono dal rapporto di lavoro in caso di congedo parentale potrebbe dissuadere il lavoratore dal fruire del congedo stesso e incitare il datore di lavoro a licenziare, tra i lavoratori, quelli che si trovano in una situazione di congedo parentale piuttosto che gli altri. Ciò si porrebbe in diretto contrasto con la finalità dell’accordo quadro sul congedo parentale, che ha tra i suoi obiettivi quello di una migliore conciliazione della vita professionale con quella familiare. In questo contesto, l’accordo quadro sul congedo parentale osta a una disposizione nazionale che implica che si prenda in considerazione la retribuzione ridotta che il lavoratore in congedo parentale a tempo parziale percepisce al momento del licenziamento.

Quanto all’indennità per congedo di riqualificazione, la Corte afferma che la remunerazione costituisce un diritto derivante dal rapporto di lavoro, che il lavoratore può far valere nei confronti del datore di lavoro. Il solo fatto che il versamento di una siffatta indennità non sia automatico, e che il versamento venga effettuato durante il periodo del congedo di riqualificazione che eccede la durata del preavviso non risulta idoneo a modificare tale rilievo. In tale contesto, l’accordo quadro sul congedo parentale è applicabile a una prestazione come l’indennità per congedo di riqualificazione.
Pertanto, la Corte conclude che, al pari dell’indennità di licenziamento, una prestazione come l’indennità per congedo di riqualificazione deve, in applicazione dell’accordo quadro sul congedo parentale, essere determinata esclusivamente sulla base della retribuzione relativa alle prestazioni di lavoro svolte a tempo pieno da detto lavoratore.

La questione di “genere” – Quanto alla questione della conformità con l’articolo 157 TFUE – sulla parità di retribuzione tra lavoratori di sesso diverso – della differenza di trattamento connessa al congedo parentale, la Corte indica, in un primo momento, che la nozione di «retribuzione» dev’essere interpretata in modo estensivo e che, di conseguenza, prestazioni quali l’indennità di licenziamento e l’indennità per congedo di riqualificazione devono essere qualificate come «retribuzioni», ai sensi dell’articolo 157 TFUE.
La Corte ricorda, in un secondo momento, che sussiste una discriminazione indiretta fondata sul sesso quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di lavoratori di un sesso che dell’altro.
La Cour de cassation ha indicato, nel contesto del rinvio pregiudiziale, che un numero considerevolmente più elevato di donne che di uomini sceglie di beneficiare di un congedo parentale a tempo parziale, dato che, in Francia, il 96% dei lavoratori che prendono un congedo parentale sono donne. In tale ipotesi, una normativa nazionale come quella francese è compatibile con il principio di parità di trattamento solo a condizione che la differenza di trattamento tra lavoratori di sesso femminile e lavoratori di sesso maschile così provocata sia, eventualmente, suscettibile di essere giustificata da fattori obiettivi estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Orbene, la Corte afferma che nessun fattore obiettivamente giustificato è stato fatto valere dallo Stato membro interessato e conclude, pertanto, che la normativa in causa non risulta conforme al principio di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, quale previsto dall’articolo 157 TFUE.

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