Corte di cassazione – Sezione VI civile – Ordinanza 6 marzo 2019 n. 6450
I coniugi non possono trovare nella costituzione del fondo patrimoniale un escamotage per sfuggire alle pretese creditorie di terzi ed evitare l’azione revocatoria. Lo chiarisce la Cassazione con l’ordinanza n. 6450/19.
La Corte si è trovata alle prese con una coppia che affermava di aver posto l’immobile nel fondo patrimoniale e perciò inattaccabile dall’azione revocatoria. La vicenda aveva avuto un esito differente nel merito. Il Tribunale di Roma aveva dato ragione ai coniugi condannando la società al pagamento della metà delle spese.
I giudici di seconde cure, invece, hanno ritenuto che il bene fosse pienamente “aggredibile” da terzi in quanto nell’atto di matrimonio mancava la trascrizione della costituzione del fondo patrimoniale. Un’eccezione formale ma che secondo la Corte d’appello di Roma rivestiva la sua importanza.
La Cassazione, invece, ha rilevato come la motivazione dei giudici di seconde cure fosse errata. Si legge nella sentenza che anche se la prova dell’annotazione fosse stata prodotta in appello questo non avrebbe mutato i termini della questione, perché la possibilità di agire in revocatoria (seguita poi da esecuzione) non poteva comunque essere preclusa.
La Corte ricorda la funzione dell’azione revocatoria che è quella esperibile dal creditore verso atti dispositivi del debitore che limitano la sua garanzia patrimoniale. La costituzione di un fondo patrimoniale, come nel caso concreto, limitava tale diritto e quindi è stata riconosciuta l’esperibilità dell’azione da parte della società anche in presenza di un fondo. In caso contrario tutti i debitori per sfuggire alla pretesa creditoria ricorrerebbero alla costituzione di un fondo, il tutto calpestando inevitabilmente le pretese creditorie.
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