Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 14 maggio 2020 n. 8943
In tema di risoluzione del contratto e in particolare con riguardo alla diffida ad adempiere non è giustificabile l’assegnazione di un termine minore di 15 giorni, per i precedenti solleciti rivolti al debitore. Lo precisa la Cassazione con la sentenza n. 8943/2020.
Fondamenti della decisione. Alla base della decisione una vicenda in cui una storica società milanese il 1° settembre 1998 aveva conferito a una Srl l’incarico di assistere in esclusiva sia per l’Italia che per l’estero il proprio management nell’attività di licensing del marchio della società. In linea di principio l’attività era quella di tutelare e incentivare le potenzialità del marchio. Il tutto è proceduto bene fino al 2007. Anno in cui il rapporto tra le parti si è incrinato a causa di dissensi nella gestione del contratto con la società spagnola licenziataria nel settore delle calzature. Seguiva la sentenza del 6 maggio 2014 del Tribunale di Milano che condannava la società milanese al pagamento di 421.674 euro oltre interessi per royalties. Nel rapporto tra le due società, l’azienda milanese avrebbe commesso l’errore di non rispettare il termine di 15 giorni previsto dall’articolo 1454, comma 2, del Cc, quale termine minimo da assegnare per conseguire l’adempimento di una precedente obbligazione.
Il principio di diritto. Sulla base di questa ricostruzione la Cassazione ha espresso un ulteriore principio di diritto secondo cui “in tema di diffida ad adempiere un termine inferiore ai 15 giorni trova fondamento solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 1454, comma 2 Cc,…la diffida illegittimamente intimata per un termine inferiore ai 15 giorni è di per sé idonea alla produzione di estinzione nei riguardi del rapporto costituito tra le parti”.
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